RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Die Walküre a Santa Cecilia

Il mito in vesti classiche

Il rapporto fra il teatro wagneriano e la Capitale è molto tormentato. Rari i titoli tratti dal catalogo del compositore tedesco nella programmazione del Costanzi, almeno negli ultimi sessanta anni. Più assidua la frequentazione dell'Accademia di S. Cecilia, che non è un'istituzione lirica ma che ha dato spazio a tutte le principali creazioni del genio di Wagner, con l'eccezione dei Meistersinger a lungo vagheggiati da Antonio Pappano e definitivamente accantonati a causa dell'improvvisa emergenza pandemica. Per questo salutiamo con particolare entusiasmo l'allestimento di Die Walküre nella sala Santa Cecilia dell'Auditorium, preludio a una esecuzione dell'intero Ring, che va ad affiancarsi al Lohengrin inaugurale del Teatro dell'Opera. Un segnale che speriamo preluda a un nuovo corso nella ricezione dell'opera del genio di Lipsia. La saga nibelungica in forma scenica è assente da Roma dal lontano 1961, il che dovrebbe far riflettere i vertici dell'ente lirico capitolino riguardo una sua possibile riproposizione. Da allora il Costanzi ha ospitato una sola volta il ciclo completo in forma di concerto nei primi anni duemila, con la presenza di Giuseppe Sinopoli nel prologo e nella prima giornata, in seguito sostituito da Will Humburg causa dissapori con l'orchestra. Lo stesso Sinopoli diresse il Ring a S. Cecilia fra il 1988 e il 1991, sempre in veste oratoriale.

L'impianto scenico costruito da Pierre Yovanovitch per l'occasione inaugurale della stagione ceciliana tiene in considerazione le caratteristiche della sala da concerto, che non è un palcoscenico operistico e che quindi difetta di tutti i macchinismi utili all'allestimento. Detto ciò, si impone una scena fissa. Scalinate perfettamente simmetriche e mura bianche evocano l'estetica di Adolphe Appia, ma anche le atmosfere stranianti che furono della pittura metafisica di Giorgio De Chirico. Suggestioni che non mancano di richiamare alla mente le figure di Nietzsche e Schopenhauer, numi tutelari dell'artista italiano e pilastri del mondo wagneriano. “La musica … esprime l'elemento metafisico di tutto il mondo fisico” afferma Schopenhauer, esplicitando la capacità dell'arte musicale di eludere l'apparenza per attingere a una visione autentica della cosa in sé. Senza addentrarci in labirinti filosofici, l'allestimento ci è parso pregnante nel suo minimalismo estetico. Il riferimento all'antichità romana, per cui Wotan appare come un imperatore disorientato dalla fragilità del proprio potere, non danneggia l'impianto narrativo. La costruzione architettonica evoca un classicismo dalle sfumature atemporali, perfetto scenario per la vicenda mitica. Dietro la razionalità geometrica si cela il dramma. Die Walküre è il capitolo più apprezzato della Tetralogia, forse proprio in virtù del suo carattere eterogeneo; l'azione è infatti divisa fra la tragedia dei Welsunghi e il rovello che lacera il Dio Wotan. L'algida apparenza delle divinità, entrando in contatto con il mondo degli uomini, viene irrimediabilmente incrinata. L'amore di Siegmund per Sieglinde tocca il cuore di Brünnhilde, spingendola alla trasgressione che la condanna alla perdita dell'immortalità. Wotan, suo malgrado, deve rinnegare la figlia prediletta, in quanto si trova avvinto in un inestricabile dissidio fra potere e desiderio. La regia di Vincent Huguet governa con maestria gestualità, movimenti ed espressioni. Nella spettacolare cavalcata che apre il terzo atto le Walkirie non inforcano i loro destrieri, ma questi vengono evocati da piccole figurine la cui sagoma risalta sulla parete in un gioco di ombre cinesi. Una messa in scena semplice ma efficace, che ben si attaglia al teatro di Wagner, sovente statico e tutto giocato sulla psicologia dei protagonisti. Del resto, dietro il pensiero del compositore, si staglia la tragedia greca. Così il frassino dove è conficcata la spada, che solo Siegmund può estrarre, è una flessuosa forma illuminata al neon, mentre un sarcofago con la lupa e i due gemelli Romolo e Remo evoca l'amore incestuoso dei due protagonisti. Belli i costumi di Edoardo Russo, improntati a una sobria ed elegante classicità.

Ma veniamo alla parte musicale. L'arte direttoriale di Daniel Harding si esplicita in una lettura di grande afflato lirico, attenta al dettaglio e volta a evidenziare i valori del canto, forse non sempre narrativamente coesa, ma comunque preziosa nella patina strumentale. La sua direzione a volte opta per scelte agogiche piuttosto rilassate, a sostenere il fraseggio dei protagonisti. Se il primo atto tarda un poco a decollare, è nel secondo e specialmente nel terzo che il direttore britannico dona il meglio di sé, grazie anche all'apporto dell'Orchestra dell'Accademia. Riguardo il cast, Vida Mikneviciute è una Sieglinde dalle straordinarie capacità vocali ed interpretative. Si pensi al duetto conclusivo del primo atto, a come riesce ad assecondare tutti i suggerimenti forniti dall'orchestra in termini di accenti e flessibilità, o ancora al repentino mutarsi emotivo nel terzo atto, dalla disperazione autolesionista alla volontà ferrea di tutelare il bimbo che porta in grembo. La voce è capace di ogni inflessione, e svetta luminosa nell'acuto. Le sta accanto il Siegmund purtroppo molto più prosaico di Jamez McCorkle, dal timbro arido e dall'espressione monocorde, unico punto debole in un cast per il resto formidabile. Magnifico l'Hunding di Stephen Milling, per l'imponente presenza scenica e per la possanza vocale. Michael Volle ha ormai interiorizzato a tal punto il ruolo di Wotan da materializzare con impressionante evidenza e dovizia di accenti ogni sfumatura della sua psicologia. Inoltre, rispetto alle recite scaligere del febbraio scorso, sembra aver recuperato completamente una forma vocale che temevamo declinante per ragioni anagrafiche. Volle, invece, si mostra padrone della tessitura nei momenti imperiosi, così come nei ripiegamenti lirici. Magnificamente commosso l'addio a Brünnhilde, sussurrato con toccante emotività, mentre la Walkiria gli tiene il capo quasi a consolarlo per la decisione alla quale, suo malgrado, deve tener fede. Brünnhilde di buon rilievo, affidata alla vocalità sicura e importante di Miina-Liisa Värelä, al suo debutto a S. Cecilia. Determinata e solida come si conviene la Fricka di Okka von der Damerau. Brave infine le Walkirie, esenti da quei suoni striduli o fissità che sovente sporcano la resa della cavalcata. Trionfo meritato in una sala gremita, in occasione della recita del 25 ottobre scorso.

Riccardo Cenci

28/10/2025

Le foto del servizio sono di ANSC©MUSA.